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Cosa so?
Cosa cerco?
Cosa sento?
Cosa chiederei se dovessi chiedere?
Fernando Pessoa
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Si racconta che Picasso, in visita ad uno dei primi centri dati, dopo aver preso visione delle straordinarie possibilità di un innovativo elaboratore elettronico, disse, nello stupore generale, che in fondo si trattava di una macchina capace di dare solo risposte. Non lo avrebbe mai potuto considerare intelligente per il semplice fatto che non era in grado di formulare domande, cosa che un bambino invece sa fare in modo del tutto spontaneo.
Sarà andata veramente così? Chissà? A me, piace crederlo. La curiosità, in fondo, influisce sul nostro stato d'animo, ci spinge a fare cose che probabilmente non faremmo mai.
“La curiosità - ha scritto Michel Foucault - evoca la “cura”, ovvero l'attenzione che si presta a quello che esiste o che potrebbe esistere”. Il reale e il possibile, sono dunque: i due registri sui quali il filosofo “gioca”.
Il pensiero che vale la pena praticare non è quello che “cerca di assimilare ciò che conviene conoscere, ma quello che consente di smarrire le proprie certezze”.
E mi affascina l'idea di considerare il “punto interrogativo” come spinta propulsiva. Non è un caso che il punto di domanda ricordi la forma della molla, pronta a caricarsi e sbalzarci lontano; ci spinge a progredire, a non accontentarsi di ciò che si vede stando fermi ma a muovere lo sguardo, andare alla ricerca di ciò che alla prima occhiata non si vede. La nostra smania di curiosare diventa inaspettatamente energia e allora il pensiero può avere a che fare con lo spaesamento, con la capacità di dislocare, di esporre il familiare all'inusitato, di inquietare. Tutt'altra cosa che affidarsi a confortanti verità preconfezionate, piene di certezze e punti esclamativi (!)
Per questo motivo cerco continuamente di sentirmi in viaggio, con il desiderio di meravigliarmi e con il piacere di perdermi, ma comunque di lasciarmi andare, come un bambino, in quell'intrigante e sconfinato territorio di segni abbandonati dall'uomo e di terre che li accolgono.
Alessandro Monti
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GRUPPO STRUMENTALE SEICORDE
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L’uomo ha lasciato tracce di sé nella storia, tracce fatte di segni e di suoni, di parole e di immagini. Ognuno di questi “passi” ci ha portati ad essere ciò che siamo: popoli diversi con lingue diverse, modi di esprimersi diversi, atteggiamenti diversi… Tutto questo si può sintetizzare in un’unica parola: cultura.
Ecco perché il gruppo “Seicorde” è presente alla mostra di Alessandro Monti, per “parlare” di cultura.
La musica, come tutte le forme d’arte, parla un linguaggio universale. Pur nella diversità di stili e forme, i “concetti” espressi da una nota sono comprensibili a tutti perché, ancestralmente, fanno parte di tutti.
Il gruppo strumentale “Seicorde”, si dedica da anni alla ricerca della musica popolare antica. Può sembrare dicotomico parlare di “cultura popolare”, ma essa rappresenta la spina dorsale di un popolo, quella su cui si forma il pensiero, la conoscenza e, di conseguenza, l’arte.
Scrive Vinny Scorsone, nella presentazione della mostra di Alessandro Monti a Palermo del 2004 che “La materia si modella, la pittura si fa scultura, ben evidenziando che tra solchi, ferite, sporgenze, voragini emergono dalla sabbia tracce che si fanno scrittura: il linguaggio della terra”. Concetto che ritroviamo anche nei testi critici del catalogo dell’attuale mostra: “… l'impiego marcato di terre, su tonalità grigie, del nero, ovvero beige, fortemente allusive al suolo, alla pietra, alla sabbia …” (C. F. Carli) - “… Su questa terra nasce e si sviluppa il segno dell’artista …” (P. Di Giammaria).
E’ proprio il linguaggio della terra che lega un repertorio antico di danze e canti di contadini alla ricerca di un moderno linguaggio di immagini.
E’ tra “i solchi e le ferite” che “emerge dalla sabbia” la nostra storia, quella di ieri, quella di oggi e si “modella”, tra “sporgenze e voragini”, la storia di domani.
Mauro Conti
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