IL LINGUAGGIO DELLA TERRA
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di Paola di Giammaria |
Il segno e la terra. Ecco di cosa è fatta la pittura-scultura di Alessandro Monti. La materia, così sapientemente elaborata dall’artista, diventa terra, in questo gioco dei pieni e dei vuoti tra una gamma di colori che utilizza tutti i marroni, i toni del grigio con intrusioni del giallo e del bianco. Dai colori velati usati in una stagione precedente ai colori materici di adesso, frutto di un impasto che segue sì un concetto razionale ma pure un bisogno istintivo. Il segno emerge prepotentemente su queste superfici ruvide dove rivivono impronte tribali e codici simbolici. Lo spazio a volte sembra trafitto, quasi corroso dal segno, come a voler restituire plasticità nell’innalzamento della superficie. Pittore ma pure scultore non è facile trovare una definizione azzeccata per Monti: egli è davvero un ricercatore, meglio un edificatore. I suoi quadri sono costruiti, nel vero senso della parola, anche perché vagliati attraverso uno studio direi “certosino” dei suoi elementi, ma al tempo stesso trasmettono una forte energia. Essi stessi diventano una fonte di energia. Già dalle prime creazioni, di ispirazione figurativa, il pittore aveva manifestato una singolare attenzione per la materia con cui preparava la tela. Con questi lavori, caratterizzati da un’esigenza costante di elaborare forme nuove, in cui il legno viene assemblato con le tele, si rompe la superficie tradizionale del quadro e la fusione tra pittura e scultura ha preso forma compiuta. In questa fase mi pare di avvertire anche un cambiamento delle superfici; le tele si flettono, creano piani e livelli diversi, diventano sagomate, quasi si piegassero ai desideri dell’artista. È una pittura carica di emozioni. La materia è ruvida, opaca, terra vera e propria. Su questa terra nasce e si sviluppa il segno dell’artista, il suo linguaggio, che poi, a mio parere, diventa il linguaggio della terra. I suoi quadri hanno indubbiamente qualcosa di arcaico, di ancestrale. Ci riportano alle origini, meglio ai primordi dell’essere, lontano dalle logiche attuali, dal caos frenetico e dai ritmi assordanti della vita quotidiana. Solchi, sporgenze, ferite, così fortemente impresse sulla sabbia, diventano scrittura. Spesso rimandano, come non notarlo, al corpo femminile, al mistero che nasconde dentro di sé: l’origine della vita. Oppure ci ricordano il mondo preistorico con questi segni grafici primitivi, che ricordano impronte di animali non più presenti sulla Terra da milioni di anni. È forse proprio questo il messaggio sublime che Monti vuole offrirci per lasciare poi a ciascuno di noi il compito di interpretarlo ed elaborarlo. Tornare alle origini, riscoprire l’essenza in tutto ciò che ci circonda. Essere e non apparire. La sua pittura-scultura è l’immagine dell’essenza, talvolta quasi ambigua, ma profonda, e non la voce dell’apparenza. Il percorso di questa mostra, dunque, ci conduce a qualcosa che è oltre, non sappiamo dove, può essere fuori o dentro di noi, “Al di là di ogni deserto”, come afferma il titolo di un’opera qui esposta. E il deserto si lascia interpretare in vari modi. I titoli sono evocativi di un mistero, quasi nascondessero un segreto. Alcuni rimandano a un tempo antico come “Memoria di un giorno propizio”, altri ci portano “Tra i grigi misteriosamente” o “Lungo i sentieri del bianco” alla ricerca di questa materia fortemente sentita dall’artista. Spesso appaiono ermetici, quasi dei piccolissimi componimenti poetici: basti pensare a “Il ricordo che illuminò la sera”, l’opera scelta per la copertina del catalogo. Così “Muti ad ascoltare il silenzio”, altra tela recentissima, ci dobbiamo apprestare non solo ad osservare ma ad “ascoltare” queste tele di Alessandro Monti.
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(presentazione in catalogo mostra Galleria d'Arte Michelangelo, Roma, 2008)
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