PER CORSI SEGNATI
 
  di Alida Maria Sessa      

 

Un artista giocoso e interdisciplinare che professa la fede nel costruire, visto come edifica con precisione millimetrica la sua idea di arte, un ricercatore che non crede all’istinto, né agli impulsi momentanei e ti pone di fronte opere in cui non vi è nulla di casuale, tutto è frutto di uno studio ben preciso. Uno che non si tormenta, lavora e prova semmai a risolvere i problemi che via via si pone. Sa già che dovrà affrontare un viaggio in salita per arrivare a certe soluzioni, sa che tutto si conquista a fatica, ma dice che, per come è fatto lui, ha proprio bisogno di ostacoli.
Mi mette in mano il blocco degli schizzi, sono disegni solo orientativi, poco più che le tre battute musicali prima di una jam session allo spasimo che potrebbe prendere le direzioni più diverse, schizzi rapidi, iterati più volte nella stessa pagina, visto che ha bisogno di ripeterli fino a metabolizzare l’idea, quando con un tratto più forte marca gli spessori, inarca i vuoti, progetta tagli e salti di quota. E solo allora passa alla costruzione del quadro. In senso letterale. La sua attuale macchina pittorica prevede, infatti, un telaio madre che ne ospita ad incastro almeno un altro, altre volte un paio, a quote differenziate e magari con inclinazioni diverse. Sul bancone da falegname lavora prima i telai vuoti, poi le strutture portanti le tele di peso e trame diverse, strutture a volte piane, altre a forte curvatura, poi scolpisce sagome lunghe e piene che usa magari sulla stessa opera, una volta al negativo per scavare un alveo allusivo, principio femminile, un’altra in forte aggetto assertivo, del tutto maschile. Quando il gioco dei telai è terminato, lasciando asole, fessure, in cui creare altri spessori materici, comincia a tendere le tele e a fissarle.
Un’opera di Monti va guardata anche a rovescio, per capire qualcosa di lui, la responsabilità, la competenza, il rigore che gli permette un lavoro pulito sulle tele, come sul più nascosto ed umile dettaglio strutturale tra un telaio e l’altro. Solo a questo punto, impasta le materie creando subito margini di grande forza espressiva sui bordi del telaio principale. Quindi copre e lavora le superfici dosando le durezze dell’impasto e la concentrazione delle varie componenti, bolle d’aria comprese, e, soprattutto, picchiettando l’impasto con strumenti che si è costruito da solo fino a trovare l’effetto voluto. Superfici lisce, superfici accidentate, in forte contrasto, magari passate con la fresa, se bisogna limarne le asperità in eccesso. Tele forti impregnate di un impasto sabbioso, scolpite con le dita, mosse come dune o ficcate nei tagli longitudinali, a simulare strati di rocce incoese, argille dilavate e terre erose. In un tempo variabile le strutture si consolidano, il rilievo plastico si fissa, il legno fa tutt’uno con la tela e i gessi.
A quel punto dovrebbe cominciare il lavoro del pittore e magari Monti scopre che il colore che aveva pensato all’inizio, adesso è rifiutato dalla forma. Ne stende strati su strati e non funziona. Perché una sua opera non è un binomio tra struttura e pittura, semmai un concertino con quattro musici che devono andare insieme. Occorre che il segno, le materie, la forma ed il colore parlino tra loro un linguaggio comune, manifestino una consonanza profonda. Ancora prima del colore, ogni sua struttura scarnificata ha un carattere primordiale, consunto, sa di reperto che ha conosciuto altre ere, culti pagani, è stato scavato dal vento e dal tempo, ma soprattutto è la risultante di misteriosi eventi celebrativi e di casuali accadimenti distruttivi. Questo lo si constata nei pezzi in lavorazione che mi mostra, in cui è evidente la potenza degli incastri, il dialogo delle superfici, la forza tattile degli andamenti craterici, come di crosta lunare. Eppure quando tutto funziona e concorda e l’artista si diletta col pennello, ritrovi il piacere del colore e dell’esperienza che ha maturato fino al fatale anno 2000.
E a ben guardare le tappe salienti della sua storia, lo scarto che ci interessa rispetto al passato, non è tanto la fuga dalla figurazione che praticava con sensibilità e grande intensità poetica, in cui però rischiava di rimanere troppo impigliato alle suggestioni di Vespignani, (basta gettare uno sguardo al bel catalogo a cura di Renzo Bertoni per l’esposizione del 1992 presso la galleria di Enrico Lombardi), quanto il salto a piè pari dai colori trasparenti e velati di un tempo alle materie terrose ed opache di adesso, dalla pittura assoluta ed assolata di allora alla scultura-pittura emozionante ed ambigua di questi ultimi lavori.
I suoi colori attuali sono materici, nativi, intrinseci al materiale, originati dalle terre e dalla loro lenta erosione, sembrano più mediati dagli impasti che da una scelta razionale. A volte coperti da una grafia primordiale, minimo comune multiplo di tutto il mondo animale, uomo compreso, visto che sembra riprendere le impronte di uccelli e di ormai scomparsi predatori notturni e rende ancora di più l’opera di Monti simile ad un reperto antropologico. Alessandro sembra teso a scoprire, a togliere materia per portare alla luce tracce di un nostro passato remotissimo di primati. Orme, graffiti, segni tribali, codici simbolici di appartenenza al clan, magari sottomessi ad un seme totemico di legno che li sovrasta a suggello. Oppure vedi un pannello completamente coperto da una grafia sottile, minima, in cui, nella consueta nicchia è incastonato un uovo, un sesso femminile, un seme-totem che genera e che nutre, che parla di un’origine cosmica e di un mistero insondabile. Lo guardi e pensi all’uovo sospeso di Piero della Francesca, tanto è casto, potente ed allusivo. O ti assorda il silenzio, l’aura orfica di certi pannelli simili a porte, che sembrano marcare le soglie sull’invisibile e ti guida il titolo “Strategia dell’oracolo “, a sentire ancora una volta l’onnipotenza del mistero, la luce nera di un oltre che si sa difendere.
Il Mistero, non il dolore, il Mito, non le fasulle mitologie contingenti, mi sembrano i caratteri delle opere attuali di Alessandro. Un bisogno di fuga dalla cronaca, dalla storia, dal pensiero narciso autoreferenziale dell’uomo sull’uomo. Come una tregua dalla cultura e dalla sue goffe scaramucce di potere, un tuffo per guadagnare un silenzio arcaico che ristora. Un silenzio siderale che non sgomenta. Un pensiero puro. Le superfici erose che dialogano tra loro, portatrici di diverse scritture e di apparenti diverse densità cristalline, sembrano scoperte ed offerte al pubblico con stupore luminoso. I suoi legni levigati, che a volte segnano la cesura tra due territori minerali, sono vissuti e pieni di evidenti significati, espliciti e no, reperti che quando non assolvono una simbologia fallica, hanno funzione di pendolo, di barra di meridiana, di menhir e la stessa arcaica sacralità di misura del tempo, come “Nello sguardo, il richiamo “.
E’ bravo Alessandro Monti e se saprà fuggire ogni pericolo decorativo ed ogni sirena del mercato, continuando ad imbracciare lo scalpello ed il pennello con la stessa purezza di cuore, di lui vedremo presto esiti autorevoli.

 

(presentazione in catalogo mostra Galleria d'Arte Michelangelo, Civitavecchia, 2005)

 

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