VAGO, INESPRESSO DOLORE
 
  di Aldo Gerbino       

 

L'asserzione, tutta spirituale, di Alessandro Monti, si attesta nella sua appartata pregnanza linguistica, quasi in un fluire lento, assorto, condotto, gentilmente per mano, nella fluviale dispersione di un animo che contempla se stesso. Poi, passa all'osservazione analitica dell'altro, del contiguo, predisponendosi, in tal modo, alla recezione di un sommesso brusio di quanto ci circonda: ora terra, animale, ora traccia dissepolta di uomo.
E c'è da osservare in che modo l'attuale operare creativo di Monti si pone nel diagramma di una continua, dialettica contrapposizione espressiva, per localizzarsi, a lavoro ultimato, nell'odierna necessaria armonia. Altre volte si rivolge all'assolutezza d'una ricerca fatta di continui equilibri, avvertiti in tutta la loro precarietà, tra gli adusi accadimenti del quotidiano. Ecco, allora, che "nella sera incredula" (2002) si apre una sorta di prologo alla poetica di questa rastremata condizione: l'icona dispersa nel reticolo di un linguaggio arcano, d'un sottile velo labirintico appena emerso dalle nubi coscienziali. Una spartizione territoriale si condensa, subito, in questi lavori: un confine ligneo che attraversa il corpo della tela e ne corrobora il valore simbolico, il suono stesso di vaghi ornamenti, innervazioni, simulazioni di figure, idee, tralci appena percepibili. Tale linguaggio si sposta, spesso, sul diagramma di un'acquisizione fatta della materia del suo "dire" costante: una ipertrofia di sostanza legnosa dispersa sulla superficie, costituendo ("nello sguardo il richiamo", 2002) un addensato monocromatico, con tenui sfumature, dove la trama terrestre si orienta verso i margini indistinti della percezione interiore.
Altre volte lo spazio appare decisamente trafitto, corroso da un'assonometria definita, quasi un voler restituire elementi plastici nel sollevamento della superficie, un incremento della forza del trasmettere. Così, non a caso, tale ricerca, sottolinea certe contiguità con le aree di un linguaggio arcaico, forme di vaga suggestione singlossica, che sarebbe piaciuta alla ricerca di Accame, simbologie intrinseche per ogni esotratto, affinchè la stessa morfologia dei marchi, qui espressi, riconducano, oggi, alle avvertite esigenze disposte tra la scrittura, oltre l'eco insonne della parola, della raffigurazione.
Un approdo alla totemica lacerazione racconta l'attualità di questo percorso, ripristinando sensazioni modulari già poste negli anni Ottanta, sulla carta, da Giorgio Bompadre, proprio attraverso la grammatica della lacerazione visiva, qui, in aggiunta, della possibilità dinamica mediata da epidermiche tattilità, rivolta anche ad una certa tensione amorosa, sensuale, colma, però, di un vago inespresso dolore. Ecco, infine, avvertirsi le più forti accensioni cromatiche tra verticali ferite dello spazio, germinanti in un tessuto vascolare offerto come alimento del desiderio, dell'elevazione ideale ("l'intenso richiamo" e "in terra di confine", 2003). Di colpo, poi, il modello di Alessandro stravolge il precedente linguaggio; una sacralità soffusa pervade lo scenario: ora in senso oracolare, ora sorretta da note indistinte di poetici respiri.

 

(presentazione in catalogo mostra Galleria d'Arte Studio 71, Palermo, 2004)

 

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